Festival europeo di poesia ambientale

Carlo Pulsoni intervista Massimo D’Arcangelo

Massimo D’Arcangelo (1982) ecopoeta. Vive in Toscana nella Riserva Naturale Alto Merse.
Ha pubblicato Intatto. Intact. Ecopoesia. Ecopoetry (La Vita Felice, 2017), una raccolta di ecopoesia bilingue italiano-inglese scritta in contrappunto con Anne Elvey e Helen Moore, una collaborazione internazionale che mette in luce le prospettive ambientali di luoghi geografici distanti tra loro (Italia, Inghilterra, Australia) legati dalle medesime preoccupazioni ecologiche.
Con Saverio Bafaro ha curato e tradotto Stickeen. Storia di un cane di John Muir (La Vita Felice, 2021).
Suoi lavori sono reperibili online e su riviste nazionali e internazionali a tema ecologico (ZEST. Letteratura sostenibile, TELLUS. Quaderni di Letteratura Ecologia Paesaggio, Lato Selvatico, Sentiero Bioregionale, The Ecological Citizen, Poetry Therapy) e in cataloghi d’arte, collaborazioni artistiche (Paesaggi Inquieti – Mario Giammarinaro, Il mondo di domani – Debora Antonello).

Massimo D’Arcangelo parteciperà all’EcoReading del Festival europeo di poesia ambientale, che avrà luogo venerdì 5 novembre alle 21 (ora italiana). A lui, come agli altri ospiti dell’evento, ho rivolto le medesime domande.

«Siamo tutti fatti di ciò che ci donano gli altri: in primo luogo i nostri genitori e poi quelli che ci stanno accanto; la letteratura apre all’infinito questa possibilità d’interazione con gli altri e ci arricchisce, perciò, infinitamente. […] Al di là dall’essere un semplice piacere, una distrazione riservata alle persone colte, la letteratura permette a ciascuno di rispondere meglio alla propria vocazione di essere umano» scriveva pochi anni fa Cvetan Todorov (La letteratura in pericolo, Garzanti, 2008). Nella sua esperienza, in che modo ritiene che la letteratura abbia contribuito alla sua formazione da un punto di vista umano?​
La letteratura è sempre stata una costante nella mia vita. Il linguaggio universale del suo narrare mi ha posto dinanzi ad una evidenza: mi ha insegnato che, come i personaggi di una commedia, gli altri vivono in noi e noi viviamo in loro. Per emergere dobbiamo lavorare sulla nostra persona, aprirci ad ogni possibilità tenendo a mente che, non essendo mai soli, i nostri pensieri sono in relazione continua con quelli degli altri.
Lo ammetto. Durante l’adolescenza, a farmi compagnia, ho avuto pochi amici in carne e ossa e molti amici di carta, questi ultimi con i loro racconti mi hanno suggerito quale cammino intraprendere.
Uno tra i più fedeli e cari amici è stato Rimbaud, la sua valigia sempre aperta al mondo, come lui sono andato via di casa giovanissimo e, parafrasando Sensation, trasognato ho percorso i sentieri campestri solo e silenzioso.
Da quel momento vivere a contatto con la natura è diventato il vangelo della mia vita. Questa esperienza, così intima, mi ha proiettato ad un’esteriorità che dilata e fa sentire il corpo mortale retto dalla Natura, nutrice e madre dell’umanità e di tutti gli elementi sui quali soffermare e meravigliare i nostri occhi.
Più avanti altri amici mi hanno aiutato a comprendere, con una sempre maggiore consapevolezza, quale fosse davvero la mia vocazione: Thoureau che nelle sue passeggiate ascolta gli alberi e parla della filosofia di vita di ritorno alla natura, quella alla quale ambisco; John Muir che con le sue esplorazioni ci porta per mano nelle terre più selvagge, nei luoghi migliori dove perdersi e imparare i grandi insegnamenti.
Oggi sono un uomo che deve molto alle sue letture. Guardo ai miei amici di carta come i migliori compagni di viaggio, grazie a loro ho trovato la strada che mi ha riportato a casa.

Dopo anni di vita vissuta in città
sono tornato al bosco. L’amore è
indimenticato. Ci siamo riconosciuti
cambiati dentro ma il filo che ci lega
rimane identico. Pulsa sangue e linfa
ossigeno e anidride si alimentano
sopravvivono all’immensità del cosmo.
(inedito da “Riserva Naturale. Ecopoesie”)

Che cosa significa per lei, in veste di poeta, l’ambiente e quanto quest’ultimo ha inciso e incide attualmente nella sua produzione poetica?​

La Poesia è un dono che arriva inaspettato come la Vita. Ogni giorno ci troviamo di fronte ad una moltitudine: gli altri, umani e non umani. Spesso non sappiamo dare un nome a questa infinita sorgente che ci lega alla PrimaMadre, una dimensione più alta che ci porge nelle braccia-alveolo e ci fa essere vivi.
La mia vita privata e l’esperienza letteraria viaggiano all’unisono, si contaminano.
L’ambiente nel quale abito è l’interazione che ho con il mondo esterno, si rapporta con la Vita e la Poesia, quest’ultima intesa come strumento e voce che conduce.
Il mio posto nel mondo è a ridosso della Riserva Naturale Alto Merse, a qualche chilometro da Siena, in Toscana.
La mia casa è isolata, una capanna in muratura di 50 mq. Questo luogo è stato per anni riparo notturno del gregge di pecore di un pastore sardo che ha abitato il luogo fino agli anni ’80 dello scorso secolo. La zona è un Terzo Paesaggio circondato da pochi uomini e molti ruderi abbandonati. Qui vivono il cervone, il gheppio, il cinghiale, il capriolo, l’istrice, volpi e lepri, uccelli notturni e un fiume che scorre animando l’immobilità apparente di un spazio incantato e fuori dal tempo. La vegetazione sta inglobando a sè ogni traccia di civiltà abbandonata e i pochi viventi che abitano il posto; io come un rudere dismesso ho deciso di abbandonarmi ad essa. Guardo alla Natura, “ciò che sta per nascere” e mi circonda, e ascolto le sue lezioni, mi lascio andare alle sue rivelazioni. Così l’ambiente mi attraversa ed io l’attraverso con i pensieri e la percezione da umano ma proiettato in una visione ecocentrica che influenza energia e mente.
Ciò di cui parlo, nella mia produzione poetica, è ciò che vivo. Ciò che vivo è ciò che l’ambiente mi propone. Sono ispirato dalla bellezza del paesaggio e, nel contempo, medito su quali ferite l’umano infligge alla sua casa, e dunque a sé stesso, attraverso il continuo processo di progresso e urbanizzazione.
Mi siedo, allora, sulla carne-terra che ci unisce e scrivo di questo e dello stupore che può sorprenderci ancora se solo, per un attimo, ci fermassimo a riassaporare la beatitudine di percepire, in tutto questo caos che ci opprime, la libertà di un corpo libero.

L’attesa del selvatico

Prendi un pugno di terra e stenditi nel prato
accanto a me tra questi versi persi in un mondo
nel tempo, nei tuoni, nel vento fratello uomo.
Sono qui attaccato al profumo della tua pelle
e alle cose autentiche disposte intorno a noi: foglie
di leccio, intreccio di radici, muschio e licheni.
Vieni a noi cervo settembrino e sorprendici
meravigliando i nostri occhi poco abituati
alla bellezza che emana un corpo libero.
(inedito da “Riserva Naturale. Ecopoesie”) 

Ritiene che la poesia ambientale possa avere un ruolo sociale?​

La poesia ambientale esprime un messaggio di appartenenza alla Terra, si apre agli altri attraverso l’uso di un linguaggio semplice e diretto, rivela la sua espressione nella necessità impellente di manifestare contro ogni forma di violenza.
Come i tecnici tentato di bonificare i territori così il poeta ambientale tenta di bonificare la mente del lettore.
É questa a mio parere la missione dell’ecopoesia: essere da supporto per formare una mente ecologica fondata su parametri che non implichino processi distruttivi nei confronti della natura e aiutare a comprendere che la Terra non è una risorsa da sfruttare a proprio favore, per i propri interessi, ma un’entità vivente che va nutrita e preservata attraverso le nostre azioni.
La poesia ambientale ha funzione sociale nel momento in cui crea, per la comunità, una memoria affinché gli errori commessi dall’uomo non si ripetano. I suoi versi tentano di ispirare il miglioramento, evocano luoghi degradati e inquinati, raccontano di quando sappiamo rimediare ai nostri errori attuando interventi di recupero per rigenerare siti contaminati per nostra mano.
A tal proposito vi segnalo una mia poesia ambientale sul Merse, fiume che attraversa la Riserva Naturale Alto Merse, istituita per proteggere e far ripopolare la lontra a altre specie in via di estinzione.

A maggio del 2001 la telefonata di un anziano minatore informa il Presidente del Coordinamento Merse che una miniera oramai inattiva lungo il fosso Ribudelli scarica sul fiume Merse fango rosso. 

Merse

chi abita il luogo sente il fiume dalle case
attraversare il silenzio dei ruderi abbandonati.
Il tuffo sordo dello zoccolo di un capriolo
spezza il ciclo continuo dello scorrere dell’acqua.
È un sollievo sapere che c’è vita anche laggiù.
Un tempo quel fiume è stato avvelenato.
Da una miniera sversato ferro, arsenico, cadmio.
Io non c’ero ma chi è vissuto in quegli anni racconta
“..né uomini né animali percorsero più
le allora acque rossastre e maleodoranti”.
Ma al fiume è stata data una seconda possibilità.
Dove tutto era morto e deforme, abbandonato
un pugno di uomini ha collaborato con le Istituzioni
e con i pochi mezzi a disposizione ridato respiro alla lontra
al tritone. Persone, contadini che amavano il luogo abitato.
Ora quel fiume è animato. Bambini e cani nuotano nelle acque
limpide, guardano i pesci controcorrente tornare alla sorgente.
(inedito da “Riserva Naturale. Ecopoesie”) 

Un’ultima domanda. La questione dell’ambiente pone, di riflesso, un dilemma esistenziale: il binomio cura-comprensione si scontra con l’idea dell’annientamento, con il dramma dell’estinzione. Può il linguaggio poetico focalizzare tutto questo?

Il presentimento della fine comincia a dilagare nei nostri pensieri in maniera massiva. Ognuno è cosciente che il cambiamento climatico, lo sfruttamento sconsiderato di risorse naturali prossime all’esaurimento porterà a una estinzione globale.
Sappiamo di aver già causato la cancellazione di diverse specie viventi attorno a noi. Come dice nel migliore dei modi possibili Mariangela Gualtieri in una sua poesia: siamo arrivati da poco su questa Terra e siamo i più feroci, teniamo prigionieri milioni di viventi e li maltrattiamo per poi ucciderli e farne di loro un pasto.
Non abbiamo rispetto per la vita e per gli altri esseri viventi. Come teorizza Bruno Sebastiano: la Terra è ammalata di cancro e noi uomini siamo le cellule impazzite di questo tumore, una malattia inarrestabile che ci ha spinti a depredare il Pianeta in modo sempre più violento (Il Cancro del Pianeta).
Ma è pur vero che siamo affacciati ad una nuova era, quella dell’empatia – del vivere in armonia con gli altri – e della rinnovata attenzione alla cura di sé e alla cura della Terra che ci ospita tutti radicati alla sua pelle.
In questo panorama la poesia dà voce al senso di perdita e di rinnovamento, a ciò che siamo e rappresentiamo in questo tempo presente di transizione.
La parola conforta e unisce, vibra lungo la soglia del dirupo dove è possibile focalizzare l’emergenza.
La poesia è, in questo, medicamenta ma non nasconde la preoccupazione del degrado e dell’annullamento; essa ci porta a percepire, con i sensi e le parole, i danni e le meraviglie generati dall’uomo in questi millenni nel posto dove abitare il domani con più consapevolezza. 

Un posto dove abitare

cerchiamo un posto dove abitare
una casa nella nostra grande casa.
Lavoriamo una vita per pagare quello
che per vivere c’è dato da sempre.
Uno spazio illimitato dove
i piedi possano camminare
gli occhi e la schiena riposare.
Impoveriti dalla smania di potere
abbiamo oltrepassato il limite.
Non sappiamo più tornare alle origini
rimediare al cancellato per sempre
alla velocità dello scioglimento dei ghiacci
alla distruzione funesta del fuoco, del vento
all’estinzione faunistica di un intero continente.
(inedito da “Riserva Naturale. Ecopoesie”)

 

Il mondo di domani

Mietitrice movimenta
tronchi di alberi cedui. Uno ad uno
sminuzzati anni di luce. Più in là
asciugati al sole cambiano forma.
La stratificazione di nodi e internodi
di tessuti vegetali evapora nel silenzio.
«Ignorando l’origine della materia
qualcuno domani userà tutto questo
per produrre energia»
Seguo la rotta degli uccelli
il movimento degli alberi.
Il vento è più forte in cima
lo percepisco dal volo dei falchi.
I lupi anticipano i miei passi.
Le promesse di oggi non saranno
quelle di domani. I palchi dei cervi
si incrociano. I rami si piegheranno.
Saranno giorni lunghi. Prenderemo tempo.
Nel buio dell’inverno il mondo sarà svelato
non lo vedremo, sarà dentro di noi.
(inedito da “Riserva Naturale. Ecopoesie”)

Debora Antonello – L’arca Di Noè (2016)  Collografia 70X50 cm
Debora Antonello – L’arca Di Noè (2016)
 Collografia 70X50 cm

 

Vivere come un albero

Il corpo è immobile
verde il flusso vitale
sorvola le pendici.
Dici che non arriveremo
a domani su questa terra.
Al contrario invece
potremmo sognare
che l’uomo
risvegliatosi da
un lungo incantesimo
decida di mollare tutto
e vivere come un albero.
(inedito da “Riserva Naturale. Ecopoesie”)

 

Debora Antonello – Creatura (2018) Collografia 70X50 cm
Debora Antonello – Creatura (2018)
Collografia 70X50 cm

In collaborazione con Sapereambiente

 

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