Poesia che nasce dalla vita con i suoi bagliori, i suoi deliri, le sue ferme e intense immagini e poesia che si è nutrita di letteratura, delle opere dei poeti amati, delle ragioni intellettuali e artistiche che intessono le ore e i giorni: così appare il ritratto in versi che l’autoantologia di Renato Minore Ogni cosa è in prestito. Prefazione di Giulio Ferroni Postfazione di Simone Gambacorta (La nave di Teseo, 2021) ci offre, coinvolgendoci, facendoci complici e amici. Ciò che non sappiamo intitola la sua premessa Ferroni, delineando il cammino poetico di Minore, che da Non ne so più di prima (1985) giunge a Error System (1921), attraversando Le bugie dei poeti (1993), Nella notte impenetrabile (2002), I profitti del cuore (2005) e O caro pensiero (2019). Il titolo di Ferroni rimanda al celebre «ciò che non sappiamo ciò che non vogliamo» degli Ossi di seppia di Montale, autore certamente presente alle prime raccolte e che riappare, non dimenticato, in quella ricerca di senso e di parole che la realtà, sfuggente e ambigua, rende incerta e inadeguata anche in una intensa relazione amorosa: «La tua voce al telefono /segue il silenzio della mia. // […] La tua voce al telefono / prende distanza dalla mia.» (La delirante e sognante immaginativa, IV).
È chiaro, come annota Ferroni, che il dissidio «sapere e non sapere, capire e non capire … insidia ogni atto di visione e di pensiero» e si riflette anche sullo stile. Si vedano gli incipit perentori nel dubbio: «Così stretti, come allodole, cerchiamo luce?» (Stella del mattino, III) o nella negazione, talvolta in anafora: «Non essere uomo /dal breve destino. / Non scrutare /la piccola patria / della tua esistenza […] Non pensarti/ unico naufrago» (Dittico dell’assenza (o della presenza) II); «Ma non ne so più di prima» (XVII); «Non esistere / sarà forse impossibile» (Natale di luce e di tenebra, IV); «Non c’è pioggia che valga/ quella pioggia. Non c’è ricordo / che valga quel ricordo» (Infanzia e dintorni); «Non c’è alcun nesso / tra le scaglie di quel pensiero / che s’insegue e io che arranco / nell’inseguirlo» (O caro pensiero). Ma più spesso la poesia di Minore si fa rappresentazione ironica e disincantata di un mondo, il suo e quello esterno, che è teatro («Dovevo recitare la parte / per essere nel coro», Taccuino dei sogni guasti), manifestazione dell’assurdo del vivere (Che nulla esiste, XVI) e si declina in versi agili, per giochi di parole, provocazioni, slittamenti di senso e di suoni, come nell’Io minimo, che raffigura in Totò «manichino» sognato, il poeta stesso, che, turbato e «vuoto nella vertigine» (Un disco), non ha punti fissi (Il gancio), sempre diviso dalla comprensione del presente: «Questo brusio della mente / nel perdersi delle cose / e non saperle / restando all’oscuro / scollegato» (Leggendo Dante nei giorni del Coronavirus).
Se l’amore, che è tema molto presente nell’opera, si configura come incertezza e disincanto, difficoltà nel conoscersi a fondo, ma che pure salva tenerezza, immaginazione e sogno, è la memoria a sollecitare ritorni all’infanzia e agli affetti del passato e ad incontri letterari, filosofici o artistici, che divengono controcanto del vissuto e di una realtà che inquieta. Tra i molti richiami alle relazioni intellettuali di Renato Minore, spesso indicate da epigrafi, entra, con Ennio Flaiano, scrittore della sua stessa terra abruzzese, il suo Leopardi: «fragile e solo eccolo in scena» (Volti di Giacomo) attraverso i ritratti che gli furono dedicati e che generano versi partecipi dell’infelicità del corpo, ma anche della felicità della «vita segreta, dolcissima» del grande poeta (Paolina a Pisa). Una vita segreta, ma non più dolce, quella che la poesia di Minore comunica, tra nostalgia di «un tempo beato/ che le parole formavano il mondo» e le «pesanti gabbie» (IX) che irretiscono e separano. Eppure proprio nell’ultima sezione dell’antologia, che raccoglie le poesie, finora inedite, ispirate dal tempo drammatico della pandemia, non vien meno, quando il vivere è dolore, caos o vuoto, la fiducia nella parola. «Le parole ne sanno più di noi», sottolinea il poeta in incipit e in explicit della lirica V di Leggendo Dante nei giorni del Coronavirus, esprimendo la necessità dello scrivere, che può anche deludere, per conoscere e dire la realtà sociale nuova, varia e diversa («E poi viene la voglia / di raccontare e capire quel che vedi», XVI), di cui sentirsi parte: «E così dovrò essere sempre / più responsabile nei confronti /della storia che scrivo / e della natura di cui / dovrò prendermi cura» (XVIII). L’energia sottesa alla poesia, spazio, con Gambacorta, «vivificante e drammatico» è, per Minore, ricerca di chiarezza, di forma e di bellezza: «Che le parole possano ancora abitare / nel tenue lume di perla e turchese» (Natale di luce e di tenebra) un augurio e una speranza.
L'autore
- Gabriella Palli Baroni laureata in Lettere Classiche a Pavia, allieva di Lanfranco Caretti, perfezionata a Chicago e a San Diego sul pensiero scientifico rinascimentale e su Machiavelli, vive a Roma. Scrittrice e saggista, è studiosa di letteratura dell’800 e del 900 ed è critica di letteratura contemporanea. Collaboratrice di «Strumenti Critici», «L’Illuminista», «Il Ponte» e di altre riviste italiane e straniere, si è dedicata in particolare ad Attilio Bertolucci, del quale ha curato il Meridiano Mondadori Opere, le prose Ho rubato due versi a Baudelaire, gli scritti sul cinema e sull’arte, e a Vittorio Sereni, del quale ha curato i carteggi con Bertolucci (Una lunga amicizia. Lettere 1938-1983, Garzanti 1993) e con Ungaretti Un filo d’acqua per dissetarsi. Lettere 1949-1969, Archinto, 2013). Ha inoltre pubblicato l’antologia Dagli Scapigliati ai Crepuscolari (Istituto Poligrafico dello Stato 2000) e Tavolozza di Emilio Praga (Nuova SI, 2008). È autrice di saggi sulla poesia di Amelia Rosselli e ha collaborato al Meridiano L’opera poetica, uscito nel 2012 e al numero monografico XV, 2-2013 di «Moderna» (Serra, 2015). Nel 2020 ha pubblicato di Attilio e Ninetta Bertolucci, Il nostro desiderio di diventare rondini. Poesie e lettere (Garzanti).
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