Interventi

Una lettera di Eugenio Morreale su Dino Grandi

Il 25 luglio del 1983, a quarant’anni esatti dalla caduta del Fascismo, “il Giornale Nuovo” dedicava l’intera terza pagina a un’intervista a Dino Grandi realizzata da Marcello Staglieno, in un articolo giustappunto intitolato Parla Dino Grandi, l’amico-nemico di Mussolini (la seconda parte uscì il giorno seguente col titolo Votai contro Hitler disubbidendo al Duce). L’articolo non passò inosservato a Eugenio Morreale (1891-1984), una figura ancora poco nota tra gli studiosi, nonostante il ruolo non certo secondario da lui svolto prima a Vienna, come corrispondente del “Popolo d’Italia” (a lui si deve il 18 maggio 1929 uno dei primi articoli italiani sul Partito Nazionalsocialista tedesco con annessa riflessione su Hitler) e funzionario del Ministero degli Esteri (fu tra coloro che provarono ad ostacolare l’Anschluss), e poi in Spagna, come capo della delegazione della Repubblica Sociale Italiana.

Dopo qualche giorno di riflessione, il 2 agosto Morreale spedì da Málaga una lunga lettera dattiloscritta a Indro Montanelli, direttore del quotidiano. Si tratta di un testo molto interessante non solo per la rivelazione di alcuni episodi concernenti Dino Grandi, di cui fu testimone diretto, ma soprattutto per i suoi giudizi non teneri da un lato sulla storiografia relativa al fascismo e in particolar modo su Renzo De Felice, fresco curatore di un volume intitolato Dino Grandi. 25 luglio quarant’anni dopo (Bologna, il Mulino, 1983), sempre oscillante nella valutazione del periodo; dall’altro sull’incapacità dei governi italiani di prendere decisioni, condizionati nella loro inazione proprio a causa della pesante eredità del Ventennio.

Forse per via della sottile vena polemica frammista all’ironia che caratterizza il testo, senza contare il duro attacco a Grandi al quale erano state dedicate ben due pagine del quotidiano, Montanelli decise di non pubblicare questa lettera, che riproduco qui di seguito nella sua interezza.

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Caro Direttore, di ritorno dall’Italia, mia figlia Maria mi ha portato “il Giornale Nuovo” di ieri 21 luglio, che annunzia la pubblicazione di un nuovo libro di Renzo De Felice. A quel che intendo, esso si muoverà sulla solita altalena: Mussolini sì!, Mussolini no!; fascismo sì!, fascismo no!, proponendola come giuoco dominante dell’Italia d’oggi.

E se invece ci decidessimo ad affrontare la storia di tutto il periodo che dalla cosiddetta “marcia su Roma” giunge al 25 luglio 1943 come un periodo storico in cui Mussolini altro non fu se non un italiano intento ad inventare una ideologia che giustificasse quel tanto di dittatura che gli consentivano il re Vittorio Emanuele III e la sua arma dei reali carabinieri, non Le pare che entreremmo finalmente nel campo che veramente interessa la gioventù italiana odierna desiderosa di una Costituzione veramente democratica che abolisca finalmente quella uscita dalla paura delle varie nostalgie? Una Costituzione che consenta ai partiti di esprimere governi che legiferano ad un ritmo ben superiore all’attuale? E dunque? Non c’è dubbio che il nuovo libro di Renzo De Felice avrà il successo che ben gli meritano la sua abilità dialettica ed il battage del Giornale nuovo e, rievocando il periodo delle sventure, aiuti a fermare l’altalena a cui sopra ho accennato.

Confidando nella Sua imparzialità, suo Eugenio Morreale

PS Per informazione personale: chi firma la presente è lo stesso Eugenio Morreale (ora novantaduenne) che Lei cita a pag. 207 del Suo Italia littoria; lo stesso che da “inviato speciale” della catena di giornali che facevano capo, per i servizi esteri, al Popolo d’Italia venne spesso a contatto col ministro degli esteri Dino Grandi nell’ambiente della Società delle Nazioni a Ginevra, lo stesso che nei suoi cinque anni di permanenza in Argentina, tra il 1947 e il 1952, venne a contatto amichevole con l’Ing. Rocca di cui il Grandi vanta, nei suoi ricordi, la fraterna amicizia etc. etc. Prendo quindi occasione della presente per manifestarle la mia opinione che sul piano storico la figura del Grandi mi sembra piuttosto modesta, sia come diplomatico che come politico. E mi sembra altresì doveroso esporle la versione che io, da cronista, posso dare della vera causa della destituzione del Grandi da ministro degli esteri avvenuta il 20 luglio del 1932. Il Grandi credeva di essere, come suol dirsi, nella manica del capo del laburismo inglese MacDonald per il servizio resogli durante una conferenza navale nella quale egli, rappresentando la richiesta mussoliniana di una parità navale tra Italia e Francia, aveva fatto anche gli interessi della Gran Bretagna assolutamente negativa in fatto di aumento della potenza navale francese. Orbene: si era nel giugno del 1932: gli esponenti dei Paesi europei debitori verso gli Stati Uniti venivano convocati a Losanna per una ennesima “conferenza” delle riparazioni. Passando da un “piano” all’altro – a seconda del nome del finanziere che lo aveva inventato, era entrato ormai nella coscienza generale, la necessità, più che l’opportunità, di una cancellazione di tutte le partite pendenti: ne erano convinti anche i due rappresentanti della Gran Bretagna presenti a Losanna: MacDonald e Stimson solo che non volevano esser loro a dire il “no” agli americani, volevano “salvar la faccia”. Conversando col piccolo gruppo degli inviati speciali italiani presenti a Losanna, Grandi ci dice di aver ricevuto nella mattinata la visita dei due inglesi testé menzionati ed era stato MacDonald a chiedergli come si sarebbe comportato il governo italiano allorché alla fine di dicembre sarebbe giunta a maturazione la rata italiana da pagare agli Stati Uniti: “Risposi” ci dice Grandi con l’aria più naturale che l’Italia avrebbe fatto fronte secondo le sue possibilità. Al che MacDonald, volgendosi verso Stimson: Ha sentito? A dir vero – soggiunse Grandi, rivolgendosi a noi della stampa, – questa insistenza non l’ho capita”. Evidentemente MacDonald si attendeva ben altra risposta dal suo pupillo italiano. Sicché i due britannici passarono nella stessa mattinata a setacciare la rappresentanza francese la quale, a quanto si seppe dopo, capita la sensibilità britannica, la negoziarono: avrebbero risposto con un no secco agli americani, la Francia non avrebbe pagato più un soldo per riparazioni, sol che la Gran Bretagna si impegnasse ad inviare proprie truppe da combattimento su terraferma europea in caso di conflitto armato franco tedesco.

Cambiando scena: Grandi, ministro degli esteri, riferisce il 21 luglio in consiglio di ministri presieduto da Mussolini, le sue impressioni sulla sua operosità a Losanna dove sono stati rafforzati gli ottimi rapporti tra Roma e Londra. In quella Viola, che a Londra sta sostituendo l’ambasciatore Grandi assente, telefona di aver avuto notizie dal Foreign Office che a Losanna è stato raggiunto un non ancora specificato “gentlemen agreement”: in altri termini: un rafforzamento delle relazioni franco-britanniche dal quale non poteva a meno, nelle previsioni di Mussolini, che derivare un rafforzamento della politica antifascista della Francia: da qui in “vattene a Londra ad intendertela tu col tuo MacDonald”.

Mi scusi l’egregio collega Indro Montanelli se non riesco a dimenticare di essere stato giornalista anch’io. A 18 anni, nel 1909, entrai a far parte, come stenografo, della redazione del quotidiano L’Ora di Palermo. Nel 1910 passai, sempre come stenografo al Secolo di Milano e quindi alla Lombarda giornalisti. Ritengo che esiste ancora alla “Lombarda” un grande registro degli associati nel 1911, unico superstite dei bombardamenti di guerra, in cui il mio nome precede quello di Benito Mussolini, allora all’Avanti. Mi fu mostrato, a titolo di curiosità, parecchi anni or sono (la Lombarda aveva allora la sua sede in Viale di Porta Nuova). La tessera con fotografia che le Ferrovie dello Stato mi assegnarono, quale giornalista professionista, per l’uso dei tagliandi che riducevano al 25% la tariffa ferroviaria, recava il N. 2701, ché tanti eravamo allora i giornalisti in Italia!