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Da Manzoni a Calvino. Dialogo con Trifone Gargano

Il nome di Trifone Gargano è ben noto a cultori e appassionati di quel mondo di mezzo che incrocia la cultura letteraria canonica, accademica, con il mondo pop. Appassionato dantista, autore di testi noti come Dante pop e rock (2021), Dante pop. Canzoni e cantautori (2018), Dante Pinocchio Harry Potter (2022), nel corso del 2023 – complici due importanti ricorrenze, quali il centenario della nascita di Italo Calvino e il centocinquantesimo anniversario della morte di Alessandro Manzoni – torna con due volumi tanto diversi nell’aspetto estetico (colorato e illustrato da Carlo Volsa il primo, bianco e senza immagini il secondo), quanto opposti sul versante critico: Dimenticare Manzoni (Edizioni Radici Future) e Calvino pop (Progedit).

Cominciamo da Manzoni, tasto dolente … Perché dovremmo dimenticarlo?

Per diverse ragioni. Innanzitutto, perché egli è del tutto fuori tempo. La lettura del suo romanzo, infatti, non ha più nulla da dire e da dare a un lettore contemporaneo. I protagonisti della storia, Lucia e Renzo, sono anaffettivi e rinunciatari su tutto (a cominciare dalle loro vicende personali). Oggi, nessun adolescente si riconoscerebbe in Lucia o in Renzo. Leggere significa anche questo: fare cioè un cammino di maturazione, di crescita psicologica, umana, affettiva, sentimentale, sessuale, culturale, ecc.; ebbene, chi, oggi, si identificherebbe con Renzo o con Lucia?

Per ragioni di lingua. La scelta di Manzoni, con quel “fiorentino” di quartiere, è una scelta di “plastica”, nient’affatto popolare, o spontanea. Ben altre erano le soluzioni da adottare, per giungere a un «volgare illustre», tanto per citare l’espressione di Dante, senza imporre d’autorità una soluzione linguistica. Gli orientamenti scientifici, in fatto di lingua, contemporanei allo stesso Manzoni, penso a Graziadio Isaia Ascoli, andavano in tutt’altra direzione, rispetto a quella tracciata e perseguita da Manzoni (e dal suo amico Broglio, allora Ministro della Pubblica Istruzione), come spiego in un capitoletto del mio Dimenticare Manzoni.

Egli va dimenticato anche per ragioni che oggi definiremmo “civiche”, di educazione alla cittadinanza attiva, visto che nella scuola italiana, dall’infanzia alla secondaria di secondo grado, è stata re-introdotta di recente l’educazione civica, da realizzare in modo trasversale (non come sterile insegnamento aggiuntivo). Ebbene, Manzoni, nei suoi scritti, e, soprattutto, nella sua condotta di vita, fu tutt’altro che esempio di cittadino attivo. Al contrario. Egli condusse sempre un’esistenza nascosta e guardinga, riparata. Fu sempre attento a non compromettersi mai, a non prender parte, fino all’ignavia più deprecabile. Perfetto opportunista e qualunquista. I ragazzi e i giovani d’oggi hanno bisogno di tutt’altri maestri che Alessandro Manzoni. Il così detto «sugo della storia», infatti, è il trionfo, direi il decalogo, del qualunquismo. Modello educativo negativo (che è sempre stato imperante in Italia, e, per certi aspetti, lo è ancora oggi, in molti ambienti sociali), di educazione alla difesa del proprio tornaconto, del proprio “particulare”. Non mi schiero. Non dico come la penso. Non partecipo ai tumulti (siano essi anche semplici scioperi o manifestazioni di piazza). Non parlo in pubblico. Me ne sto zitto zitto, e mi faccio i fatti miei. Non mi comprometto.

Tommaseo, don De Luca, Carducci, un romanzo “populista”, “rassegnato”, “di costume”… Insomma, questo Manzoni davvero non piace a nessuno e non ha fatto nulla di buono?

Non è piaciuto (e non piace) a molti, non soltanto agli studiosi citati in domanda, anche a molti altri (molti dei quali sono stati di orientamento cattolico, non laici, o massoni o comunisti anticlericali, no, di fede cattolica). Manzoni ha avuto la fortuna (una fortuna, come dire, “pilotata”) di essere stato caldeggiato, direi “imposto” d’autorità, nelle scuole del neonato Stato italiano come lettura obbligatoria (nel biennio superiore), che dura ancora, con intervento ministeriale, del quale do contezza nel libro.

In conclusione al volume si legge: “Forse, oggi, un ritorno a Manzoni è possibile, a patto, però, che si torni a leggerlo passando attraverso le riscritture in chiave pop del romanzo” ma è oggettivamente pensabile avviare una ri-scrittura senza l’approfondimento preliminare del testo modello?

No. Ha ragione lei sulla conoscenza “preliminare” del testo modello; ma l’approfondimento deve avvenire contestualmente con la presa d’atto della cornice generale di riferimento di quel testo modello. Esso non va più da letto (e presentato, specie a scuola) come «IL» romanzo della nazione, bensì come «UN» romanzo della nazione, da collocare nello scaffale della letteratura italiana di primo Ottocento, accanto a Silvio Pellico, e ad altri, senza metterlo più su di un piedistallo. Dunque, un romanzo, e non il romanzo. Se penso, per esempio, come racconto nel mio libro, che nel 1929, l’anno della “pace” tra la Chiesa e lo Stato italiano (con i Patti lateranensi), usciva una versione «pop» dei Promessi sposi, a cura di Guido da Verona, e che l’autore di quella ri-scrittura satirica (in chiave pop) fu accusato e condannato, in quello stesso 1929, per “vilipendio della morale fascista”, per il semplice fatto che un codicillo dei Patti lateranensi prevedeva l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole elementari di allora attraverso figure, passi e momenti dei Promessi sposi, allora questa mia proposta di tornare al romanzo con il «pop» ha un senso. Alludo, per esempio, alla canzone don Abbondio del cantautore Brunori sas, che denuncia la nostra falsa coscienza, quella odierna, non quella dell’Ottocento, così incline al compromesso e alla ricerca dell’utile personale, che deve molto proprio al modello educativo contenuto nel «sugo» della storia. Insomma, a mio modestissimo giudizio, continuare a leggere Manzoni oggi, senza una necessaria presa d’atto della pericolosità educativa (linguistica, letteraria, ideologica, ecc.) di quella lettura, sarebbe un errore grandissimo, pena il perpetuarsi, nel nostro Paese, tra piccoli e grandi attori della vita nazionale, dell’esercizio ignobile dell’indifferenza, del qualunquismo e dell’opportunismo. Esempi citabili sarebbero tanti. Per pietà nazionale non faccio nomi, o riferimenti specifici. Dovremmo leggerlo, allora, per scelta, e non imposizione ministeriale, con una disposizione al riso, al sorriso, all’ironia e all’auto-ironia; magari contrapponendogli Ippolito Nievo e le sue Confessioni di un italiano, o, saltando in tutt’altro campo, mettendogli a confronto la lezione attivissima (e attualissima) di don Lorenzo Milani (il cui centenario di nascita cade anch’esso quest’anno), con il suo forte monito politico-educativo all’impegno attivo: «I Care».

Quanto alle sue incursioni pop nel mondo della letteratura, pochi giorni fa ha scritto un articolo su “L’Attacco” in cui lamentava accuse di “bracconaggio critico” …

Personalmente, credo che la letteratura debba arrivare a tutti, non nel senso di divulgazione sciatta, ma nel senso che dev’essere in grado di trovare un linguaggio, un codice espressivo capace di giungere a tutti. Ritengo che sia questo il compito, la missione, di un docente, di un critico: porsi tra l’autore e il lettore. Per queste ragioni, prediligo, da sempre, le piazze, i festival, le lezioni spettacolo (anche per strada, una volta ho tenuto una lezione su Dante in un lido, e ai presenti parlai del Purgatorio, del «tremolar de la marina»), gli interventi in televisione e in radio (in trasmissioni generaliste, non specialiste). Ricordo che tempo fa una ragazza laureatasi con me, mi fece un bellissimo complimento, dicendomi, dopo una mia lezione spettacolo in piazza, che fossi stato davvero bravo. La ringraziai e le chiesi il perché di questo complimento. La ragazza mi confessò che, in piazza, ad ascoltarmi, c’era stato anche suo padre, camionista di professione, e che le aveva confidato di aver capito tutto, ma proprio tutto della mia lezione (ricordo che quella volta, in quella piazza gremita di gente, parlai dell’Infinito di Leopardi). Ecco, questa è la mia idea di letteratura «pop», nel senso sia di «popolare», capace cioè di utilizzare anche i linguaggi social (Twitter, Facebook, Instagram e simili); sia di ri-uso della poesia nelle canzoni «pop» contemporanee, dal cantautorato italiano più classico, ai giovanissimi interpreti della musica italiana. Ebbene, questa dimensione pop, di strada, in presa diretta, con un pubblico di non addetti ai lavori, disturba e fa arricciare il naso a molti docenti (accademici o no che siano). Per fortuna, si tratta di pochi, presunti, sacerdoti (o sacerdotesse) delle Belle Lettere, difensori, a loro dire, di un rito, quello dei convegni specialistici, autoreferenziale. Costoro, pochi, mi attaccano, mi ignorano, mi snobbano, non si accorgono dei miei lavori e dei miei sforzi. In questo senso, ai loro occhi sono (sarei) un bracconiere, un abusivo della critica. Francamente, me ne infischio. Continuo il mio lavoro e le mie ricerc-azioni, e vado avanti, sostenuto dall’affetto e dalla collaborazione di tanti colleghi, di tanti studenti, di persone comuni e di spettatori occasionali, nelle strade e nelle piazze d’Italia.

Restiamo sul pop, ma passiamo a Calvino. Un autore, ci sembra, ben più apprezzato di Manzoni, anche per la sua abilità di legare “il pop alla leggerezza” …

Decisamente sì, Calvino ha saputo interpretare il pop a modo suo (se solo penso a opere come Marcovaldo, in anticipo sul presente di almeno cinquant’anni; oppure, se penso alla Trilogia degli antenati, così sorprendentemente attuale, sia per le suggestioni sul ruolo della scienza nella società, sia per la complessiva levità che caratterizza tutti e tre i romanzi del ciclo).

All’interno dei sei capitoli del volume troviamo una rivisitazione delle più originali chiavi pop in cui leggere Italo Calvino: ecologista, cibernetico, gourmet, sportivo… Ce ne parla?

Gli anniversari servono (anche) per questo: da un lato, tirare una linea e verificare quanto di un Autore (di un Classico) sia ancora vivo nel nostro tempo; sia, anche, per far luce su opere o aspetti di un Autore che, nel corso dei decenni, la critica non ha adeguatamente lumeggiato. Ebbene, nel mio Calvino pop, ho provato proprio a fare questo: raccontare un Calvino ingiustamente definito “minore” (e, quindi, scarsamente studiato e letto). Alludo al Calvino autore di testi di canzoni pop (ecco come ritorna la questione del mio approccio didattico e scientifico attento ai linguaggi del pop). Oppure, il Calvino giornalista sportivo (a Bari, in Università, da qualche anno, insegno presso il corso di studi di Scienze delle Attività Motorie e Sportive, la disciplina «Lo Sport nella Letteratura»), autore di pezzi giornalistici degni del più noto (e grande) Italo Calvino. Ne cito solo uno: La partita che non ho visto (resoconto giornalistico della partita Italia – Inghilterra, del 1948, che Calvino non vide, perché restò fuori dallo stadio, attratto da ben altro spettacolo che lì si svolgeva, sotto i suoi occhietti attentissimi e curiosi). Rinvio al capitolo del mio libro, per un approfondimento. Alludo, poi, al così detto Calvino cibernetico, cioè al Calvino di un piccolo testo, Cibernetica e fantasmi, nel quale, già cinquant’anni fa, Calvino rifletteva sulla possibilità che, prima o poi, si sarebbe giunti a una macchina capace di generare testi di senso compiuto, testi letterari. Ebbene, oggi quella macchina esiste, ed è l’app Chat GBT, capace di generare testi. Mi sembra, dunque, molto interessante e proficuo rileggere quel testo di Calvino, al quale dedico spazio nel mio libro, per accompagnare la nostra odierna riflessione sulle tante implicazioni che un approdo tecnologico del genere comporterà nel nostro mondo, per notare gli “anticorpi” che Calvino suggeriva, dinanzi a simili macchine, per evitare le due opposte soluzioni più immediate (e sbagliate), da un lato degli integrati, dall’altro, degli apocalittici.

Oggi, tutti parlano e scrivono di ecologia. Calvino lo fece più di cinquant’anni fa, con La nuvola di smog, con Marcovaldo, con alcuni racconti delle Città invisibili, non capito (e, direi, da isolato). Negli anni Cinquanta, finita la guerra, e con il boom economico italiano (con le grandi industrie del Nord Italia che stavano cambiando il Paese), che sembrava dare a tutti benessere e agiatezza, pochissime furono le voci critiche (penso a Pasolini), e tra queste poche voci si alzò quella profetica di Italo Calvino. Ma c’è anche un Calvino attento alle questioni della formazione e della scuola. Un Calvino autore di una antologia per la scuola media (come si diceva in quegli anni). Calvino partecipò alla progettazione (didattico-scientifica) e alla realizzazione di una antologia di letture, scrivendo perfino le note di comprensione a piè di pagina di alcune novelle del Decameron di Boccaccio, mostrando, sia nella scelta dei brani da antologizzare, sia negli esercizi collegati ai testi, una adeguata e innovativa strategia di educazione alla lettura, davvero sorprendente e attualissima. Del resto, lo stesso titolo dato all’antologia, La lettura, sembra un titolo scelto oggi, che cioè traduca in sintesi l’attuale preoccupazione per una adeguata strategia di educazione alla lettura.

In chiusura, una domanda di stampo più personale: a che livello hanno influito, per un dantista, le celebrazioni del 2023 sulla scelta degli autori da trattare? C’era, di fondo, un progetto pregresso o le ricorrenze sono state spunto di una riscoperta (più o meno ammirata) di autori contemporanei? In definitiva (e in senso più ampio): crede che le ricorrenze letterarie fungano da spunto per nuovi approcci ai testi o restano ormai rimandi fini a sé stessi, poco utili alla ricerca e alla didattica?

Come ho già chiarito, gli anniversari sono sempre utili, a patto che non si esauriscano in meri (e sterili) appuntamenti celebrativi. Essi, al contrario, devono essere vissuti, a tutti i livelli, come occasioni importanti per un ripensamento complessivo del Classico, e, soprattutto, della sua presenza nel nostro tempo, una messa a punto del “senso” del suo essere testo attivo, nonostante i decenni trascorsi; cioè, testo ancora da leggere (o, al contrario, da non leggere). Nel caso di quest’anno, con Calvino e con Manzoni, dal mio punto di vista di lettore e di interprete di Dante, devo confessare che, nel primo caso, Calvino, da tempo leggevo e studiavo quello che io definisco il carsismo dantesco di Italo Calvino. Mi spiego meglio. Dinanzi a Calvino, nessuno pensa immediatamente a Dante, come Classico di riferimento, piuttosto, ad Ariosto, all’Orlando furioso, per tante ragioni (per esempio per la speculare multilinearità delle narrazioni, sia in Ariosto che in Calvino). Eppure, c’è un dantismo carsico (talvolta, anche esibito da parte di Calvino) che stupisce. Penso a Palomar, e a qualche altro passo sui quali, a breve, mi soffermerò (in prossimi interventi, magari proprio su Insula europea). Quindi, l’anniversario della nascita di Italo Calvino è stato, per me e per i miei interessi danteschi, uno stimolo prezioso. Nel caso di Manzoni, no. Alessandro Manzoni è autore poco dantesco (direi, con un azzardo, per nulla dantesco). Questo a-dantismo manzoniano ha diverse sfumature. A cominciare, per esempio, dalla dimensione linguistica. La soluzione “dirigista” manzoniana è quanto di più lontano Dante avesse teorizzato e vagheggiato nel suo De vulgari eloquentia. Ma anche sotto altri profili. Se solo pensassi alla modernità di Dante, nel tratteggiare l’amore (forte, autentico, passionale, ancorché pericoloso) tra Paolo e Francesca, con i due, all’Inferno, che sono e restano abbracciati, per contrasto metterei l’anaffettività di Manzoni, che nel tratteggiare due giovani sposi promessi, in tutto il romanzo, ma tutto, non li fa mai, dico mai, abbracciare. Mai un bacio. Mai che Renzo tenga la mano a Lucia. Dante, sì, modernissimo, e da leggere. Manzoni, invece, da archiviare, da non leggere (più). Ebbene, nel caso di Manzoni, l’anniversario (doppio anniversario: 150 dalla morte di Manzoni, e 200 anni dalla pubblicazione del Fermo e Lucia, avvenuta nel 1823), la mia preoccupazione di intervenire e di dire qualcosa è stata più di carattere didattico, che scientifico.

teresa.agovino@unimercatorum.it

L'autore

Teresa Agovino
Teresa Agovino (1987) ha conseguito il dottorato di ricerca nel 2016 presso l'Università 'Orientale' di Napoli con una tesi incentrata sulle riprese manzoniane nel romanzo storico del Novecento. Insegna Letteratura italiana presso l'Università Mercatorum (Roma) e Metodologie di scritture digitali presso l’Università Europea di Roma. Si occupa di ricerca su Alessandro Manzoni, Primo Levi, Giancarlo De Cataldo, Andrea Camilleri, autori sui quali ha pubblicato numerosi articoli in rivista e atti di convegno. Ha pubblicato i volumi: Dopo Manzoni. Testo e paratesto nel romanzo storico del Novecento e Elementi di linguistica italiana (Sinestesie, Avellino 2017 e 2020); I conti col Manzoni e «Sotto gli occhi benevoli dello Stato». La banda della Magliana da Romanzo criminale a Suburra (La scuola di Pitagora, Napoli, 2019 e 2024);“Non basta essere bravi. Bisogna essere don Rodrigo”: Social, blog, testate online, Manzoni e il grande pubblico del web (Armando editore, 2023). Ha vinto il premio 2023 dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti, Classe di Lettere, con il saggio Da Manfredi all’innominato. Suggestioni dantesche in Manzoni.