Quando leggemmo nel 1960 sul «Menabò di letteratura» diretto da Elio Vittorini gli episodi dei Giorni della Fera di Stefano D’Arrigo, fummo colpiti dall’originalità dell’invenzione e dalla scrittura, fluente, visiva, molto drammatica nel raccontare, con Battaglia, «un mondo smisurato» ricreato, contemporaneamente e narrativamente dal suo autore nel romanzo di potente respiro Horcinus Orca.
I giorni della fera, pubblicati nel 2000 per i tipi di Rizzoli col titolo I fatti della fera, con Introduzione del suo critico più fedele, Walter Pedullà, a cura di Andrea Cedola e Siriana Sgavicchia, entrarono nell’opera maggiore, che gli stessi studiosi editarono nello stesso anno, offrendo un’opera cui D’Arrigo si dedicò, scrivendo e riscrivendo, con un sistema variantistico a più colori, per molti anni, tra poesia e prosa al fine di giungere al cuore e al mistero della vita, al suo ultimo senso, ad un’Odissea, antica e nuova, visionaria, rivelata da uno scavo profondo nella parola.
Ora Sgavicchia propone, con accurata e coinvolgente Nota al testo un racconto lungo, rimasto tra le carte di questo straordinario narratore, donate nel ‘2007 dalla moglie Jutta Bruto all’Archivio “Alessandro Bonsanti” del Gabinetto Vieusseux di Firenze, racconto la cui vicenda compositiva ed editoriale è assai ben indicata dalla curatrice, che definisce l’opera «un’avventurosa trama d’autore». All’origine vi è l’opera di Gogol Le anime morte, che D’Arrigo trascrive ambientandola nella Sicilia postrisorgimentale inventando un protagonista – trovatello della Ruota dell’Annunziata di Napoli, «figlio della Madonna» – e un ambiente molto ben caratterizzati, ma frutto anche della lettura di vari scritti di natura storica dalla Vita di Giuseppe Garibaldi di Gustavo Sacerdote, al Capitalismo nelle campagne (1860-1900) di Emilio Sereni a Una protesta del popolo delle Due Sicilie (1947) di Luigi Settembrini. Quest’ultimo libro è presente in un’edizione del ’44 nella biblioteca dello scrittore e viene citato per il rilievo dato nella Presentazione dell’Editore alla continuità tra il Regno borbonico, « tirannico e corruttore al sud», e la condizione della classe operaia durante il regime fascista Attraverso Gogol, letto e sottolineato nella traduzione di Nabokov, tra le fonti studiate da Siriana Sgavicchia, avviene la scelta della prospettiva grottesca, che d’Arrigo dona al suo soggetto, non staccandosi peraltro dalla tradizione letteraria meridionale da Verga a De Roberto, da Pirandello a Tomasi di Lampedusa a Consolo. Il quadro tracciato appare assai documentato e convincente e permette di cogliere l’interesse dello scrittore per la storia e la cultura meridionalista. Altrettanto attraente la vicenda genetica del racconto con l’evidenza data a situazioni autobiografiche e a legami d’amicizia, che portano in piano un quadro, ottenuto anche attraverso carteggi, dei rapporti cinematografici e artistici che D’Arrigo ebbe nella Roma del tempo, ora con Visconti e Amidei, ai quali pensò di indirizzare il suo «soggetto cinematografico», intitolato nel dattiloscritto Il compratore di anime morte. Libera riduzione di Stefano D’Arrigo. Le avventure di Cicicov ovvero “Le anime morte”, ora con Libero De Libero, Tito Balestra, Zavattini e Tonino Guerra, Guttuso o Camilleri. Guttuso regalò a D’Arrigo uno studio della Battaglia di Ponte dell’Ammiraglio, un ritratto di garibaldino, che forse ispirò il finale in camicia rossa del personaggio principale, che da orfano, dopo le molte peripezie si fa rivoluzionario. Camilleri infine, allora regista e sceneggiatore, fu il destinatario, da un appunto autografo, del Compratore e dedicò nel 2000 un articolo al conterraneo al suo romanzo maggiore e alla loro familiarità.
Come sempre, i fondi archivistici indagati con acribia e intelligenza critica riservano sorprese e insperate acquisizioni, che, inserite nella storia della letteratura, possono rivelare passaggi diversi nella produzione di un autore rappresentativo come Stefano D’Arrigo che, dopo lo spericolato grande Horcynus, si misurò con una scrittura realistica, vivace e arguta, di indubbia efficacia narrativa.
L'autore
- Gabriella Palli Baroni laureata in Lettere Classiche a Pavia, allieva di Lanfranco Caretti, perfezionata a Chicago e a San Diego sul pensiero scientifico rinascimentale e su Machiavelli, vive a Roma. Scrittrice e saggista, è studiosa di letteratura dell’800 e del 900 ed è critica di letteratura contemporanea. Collaboratrice di «Strumenti Critici», «L’Illuminista», «Il Ponte» e di altre riviste italiane e straniere, si è dedicata in particolare ad Attilio Bertolucci, del quale ha curato il Meridiano Mondadori Opere, le prose Ho rubato due versi a Baudelaire, gli scritti sul cinema e sull’arte, e a Vittorio Sereni, del quale ha curato i carteggi con Bertolucci (Una lunga amicizia. Lettere 1938-1983, Garzanti 1993) e con Ungaretti Un filo d’acqua per dissetarsi. Lettere 1949-1969, Archinto, 2013). Ha inoltre pubblicato l’antologia Dagli Scapigliati ai Crepuscolari (Istituto Poligrafico dello Stato 2000) e Tavolozza di Emilio Praga (Nuova SI, 2008). È autrice di saggi sulla poesia di Amelia Rosselli e ha collaborato al Meridiano L’opera poetica, uscito nel 2012 e al numero monografico XV, 2-2013 di «Moderna» (Serra, 2015). Nel 2020 ha pubblicato di Attilio e Ninetta Bertolucci, Il nostro desiderio di diventare rondini. Poesie e lettere (Garzanti).
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