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Lucia e Gertrude. Quando il cuore di Manzoni “non regge”

Quando Alessandro Manzoni avvia il lungo percorso di aggiustamenti che lo condurrà dal Fermo e Lucia ai Promessi sposi, tra le scene che immediatamente decide di tagliare vi è quella relativa alla storia di Bettina. In breve: quando, nel Fermo, Lucia Zarella incontra Geltrude e la monaca le chiede informazioni in merito a don Rodrigo, la giovane le narra la storia della povera Bettina, sedotta e abbandonata da costui e in seguito costretta a vagare raminga per il mondo senza più affetti né averi. Bettina «diede retta al bene di quel Signore; e sa ella che ne avvenne? Cominciò a disubbidire ai suoi parenti; quando fu ammonita si rivoltò […] non ebbe più amiche, disprezzava tutti, e diceva – puh villani! – come avrebbe potuto fare una gran dama […]. Poveretta! Di tratto in tratto pareva più lieta che non fosse mai stata, ma le lagrime che spargeva in segreto! […] Basta: la disgraziata non poté più vivere nel suo paese, e un bel mattino, fece un fagottello, e finì a girare il mondo».
Il motivo di tale espunzione è evidente e ne aveva già argomentato Franco Petroni in un saggio del 1993: «attraverso l’identificazione con Bettina, le due donne, così diverse […] hanno un momento di intesa». Nel Fermo, Geltrude si rivede in Lucia e potrebbe intuire – e con lei il lettore – che la giovane ha rifiutato le avances di Rodrigo unicamente per evitare di finire come la disgraziata amica. Quanto l’autore abbia voluto impedire la possibilità di un tale fraintendimento all’interno dei Promessi sposi è evidente; difatti, conclude Petroni: «Si consideri viceversa come Lucia Mondella tronchi immediatamente qualsiasi possibilità di “dubbio maligno” da parte di Gertrude circa il fatto se don Rodrigo sia o meno “un persecutore odioso”». La critica manzoniana è da sempre unanimemente concorde nell’affermare che tra le due donne, al momento del loro incontro – quando cioè la monaca è già irrevocabilmente compromessa dalle proprie scelte sbagliate – non può e non deve esserci alcun punto di contatto ma unicamente una prospettiva di tipo oppositivo.

«Non so se l’osservazione sia nuova, e neppure se sia legittima» disse una volta un acuto commentatore di Manzoni, ma mi sembra che, nella versione più recente, lo scrittore lombardo lungi dal censurare completamente i contatti tra Gertrude e Lucia ne sposti semplicemente l’asse etico-cronologico: Lucia, specchio di moralità innocente che nulla ha a che spartire con la monaca sventurata e causa del suo stesso male, può, per contro, confrontarsi con la vessata Gertrudina preda delle aberranti macchinazioni paterne; insomma con quella giovane tormentata e ancora innocente che, dall’autore stesso definita “poverina”, giunge a fargli persino tremare il cuore.
In due diverse occasioni, infatti, nel romanzo l’autore afferma che il cuore “non gli regge”; la prima volta questa frase è utilizzata per indicare l’impossibilità emotiva del narratore di etichettare come tale il padre di Gertrudina, che la tortura psicologicamente: «Il principe (non ci regge il cuore di dargli in questo momento il titolo di padre) non rispose direttamente». La seconda occorrenza è, invece, legata al rapimento di Lucia della quale il narratore descrive le pene angosciose in dettaglio e per diverse pagine, salvo poi doversi fermare perché: «ormai non ci regge il cuore a descriverle più a lungo: una pietà troppo dolorosa ci affretta al termine di quel viaggio».
Il parallelismo tra questi due momenti è evidenziato anche e soprattutto dall’indizio extratestuale: il primo rimando si trova al capitolo X, l’altro al XX in una forma di specularità prospettica che non lascia spazio a ulteriori dubbi. Anche l’elemento anagrafico legato ai due personaggi sembra incidere in maniera rilevante nella scelta manzoniana. Quando Gertrude compare sulla scena ha all’incirca venticinque anni: ciò vuol dire che al momento della vessazione paterna, che la costringe alla monacazione, essa è poco più che adolescente quindi orientativamente coetanea di Lucia al momento del loro incontro e del rapimento che ne consegue.

Don Lisander, un uomo che ha ormai superato la quarantina, prova una pietà talmente profonda per queste due ragazzine terrorizzate da uomini come lui, che il suo cuore non riesce fisicamente a reggere di fronte alla vessazione inutilmente e ingiustamente crudele perpetrata ai loro danni. Il cuore che “non regge” è un’immagine delicatissima ma che contiene al suo interno una potenza evocativa di una forza strepitosa: è l’autore qui che empatizza scopertamente e in maniera totalizzante con i propri personaggi, al punto da non riuscire materialmente a etichettare come padre un uomo tanto crudele né tantomeno a descrivere lo stato di angoscia in cui certamente versa Lucia, inaspettatamente rapita da una manica di assassini. La pietà di Manzoni è qui tutta umana, personale; il cuore che non gli regge altro non può indicare che il senso di dolorosa angoscia che lo scrittore prova di fronte all’idea della vessazione dei più indifesi tra i suoi “burattini”: due ragazzine atterrite nelle mani di uomini, come l’autore adulti ma, diversamente da lui, indifferenti agli effetti della propria consapevole e colpevole crudeltà.

teresa.agovino@unimercatorum.it

Postilla bibliografica

1993 Franco Petroni, L’ideologia e il sistema dei personaggi nel Fermo e Lucia e nei Promessi sposi, in «Allegoria», V, 13, 1993, pp. 51-70.

1998 Primo Levi, Il pugno di Renzo, in L’altrui mestiere, Torino, Einaudi, 1998.

2006 Alessandro Manzoni, I promessi sposi, a cura di D. Isella, vol I: prima minuta (1821-1823). Fermo e Lucia, a cura di B. Colli, P. Italia, G. Raboni, Milano, Casa del Manzoni, 2006.

2015 Alessandro Manzoni, I promessi sposi, a cura di F. de Cristofaro, Milano, BUR, 2015.

 

L'autore

Teresa Agovino
Teresa Agovino è dottore di ricerca in Letterature Romanze presso l'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale". È cultore della materia in Letteratura Italiana Contemporanea. È professore straordinario a t. d. di Linguistica Generale presso l'Universitas Mercatorum di Roma, e docente a contratto di Lingua e linguistica italiana presso la Scuola Superiore Internazionale di Mediazione Linguistica (SSML) di Benevento; di Linguistica Italiana e Generale presso UniPegaso. Ha pubblicato due volumi: Elementi di linguistica italiana (Sinestesie, 2020) ; Dopo Manzoni. Testo e paratesto nel romanzo storico del Novecento (Sinestesie, 2017). Si occupa di ricerca in Letteratura italiana del Novecento e Duemila. In particolare studia i riferimenti manzoniani contenuti all'interno della prosa contemporanea sino agli anni Duemila (principalmente in Camilleri e De Cataldo) e l'opera di Primo Levi. Di prossima pubblicazione anche la traduzione italiana del romanzo Bones in London di E. Wallace (1921).