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Storia di natura e di amicizie. Conversando con Paola Maria Liotta

Dopo la musica e il mito ecco l’ecologia. Eppure questo romanzo non è così lontano dai precedenti: a dominare è ancora l’amicizia, l’amore, il senso di solidarietà. Cosa la spinge a muoversi tra generi e tematiche diverse eppure complementari, che si intersecano tra loro?

La curiosità, l’ampiezza di interessi, l’attenzione al reale fanno parte di me, del mio vissuto, e vi traduco in chiave personale il terenziano (e non solo) “nihil humani me alienum puto”, una sorta di niente ciò che avviene sotto il sole mi è estraneo, e tutto amo, tutto comprendo in me. Ci sono istanze insopprimibili di guardare alla vita in ogni sfumatura, a queste la mia scrittura dà cittadinanza e mi vado orientando senza preclusioni verso ciò che mi sta a cuore, mi stupisce, mi incanta. Ed è l’infinita bellezza della vita, anche in un fiore di campo.

Lei è insegnante di materie letterarie e latino. Quanto c’è della sua formazione nella scelta di far parlare gli animali, di renderli protagonisti come nelle favole di Esopo?

Oltre a Fedro, Esopo, Apuleio e a molti altri autori, ricordo sempre con gioioso stupore l’impressione che mi destò «Il viaggio meraviglioso di Nils Holgersson» di Selma Lagerlöf, quando l’ho letto, da ragazzina, e l’importanza che ha rivestito nella mia formazione tanta narrativa fantastica, a partire dalle «Mille e una notte». Queste letture hanno alimentato la mia fanciullezza e la mia adolescenza (penso ai romanzi, anche di formazione, e alle storie di metamorfosi), però per «Il grande regno di Thulas» la scelta di rendere protagonisti della narrazione gli animali, e dei cuccioli, in particolare, prima fra tutti la deliziosa Elsa, risponde all’intento ecologista e a quei temi del rispetto della natura e dell’ambiente che vivo con molta consapevolezza. L’inquinamento è una minaccia per il nostro pianeta e per l’umanità, e ciò la pandemia ha ampiamente confermato.

Quando ha sentito l’urgenza di misurarsi con il tema ecologico?

Paola Maria Liotta

Credo che la tematica sia sempre stata latente, nella mia ispirazione, ma lo scempio degli incendi che ogni estate divorano sia le colline iblee che ettari su ettari di altre zone dell’Italia, si pensi alla meravigliosa Sardegna, e del globo con esiti catastrofici, mi ha reso più determinata che mai a sviluppare la storia di Thulas, della Grande Foresta e della Montagna Sacra.
Deforestazione selvaggia, sfruttamento indiscriminato delle risorse ambientali, traffico illegale di specie a rischio di estinzione contraddistinguono, ahimè, il nostro tempo, non esistono più zone franche. Lo sventramento della Foresta Amazzonica ne è un esempio eclatante. Come restare insensibili? E lo penso da educatrice e docente, prima che da scrittrice.
Peraltro, larga parte del romanzo è stata ideata e scritta durante l’estate, quando mi piange il cuore per quanto accade sull’altopiano ibleo, dove i roghi si susseguono da giugno ad agosto con una cadenza impressionante, sempre più devastanti e implacabili. Nell’arco di un anno la vegetazione spontanea ha in parte ripreso il suo naturale fulgore, come ho potuto io stessa constatare nella mia amata Avola Antica fino a stamani, ma il rischio degli incendi dolosi non è ancora stato scongiurato e incombe drammaticamente sui prossimi mesi estivi.

Qual è stata la difficoltà più grande nello scrivere questo romanzo?

Scrivere questo romanzo ha corrisposto alle istanze più forti della mia scrittura, fra cui il desiderio (e la volontà) di conferirle spessore nel toccare argomenti scottanti e vitali, su cui è impossibile tacere. La sopravvivenza della Terra è in pericolo già da tempo, penso alle discariche abusive, al traffico di scorie radioattive, e così via. Al bisogno di scrittura è corrisposto il desiderio di documentarmi, perciò creare Thulas e la sua favolosa foresta è stato come realizzare un prodigio in cui incarnare i valori che animano la narrazione e il senso di quanto desidero esprimere, in cui credo fermamente.

Lei ha scelto come esergo, oltre a una frase di Tagore, anche un passo della scrittrice statunitense Harper Lee che recita: «Se il generale Jackson non avesse incalzato gli indiani Creek lungo il ruscello, Simon Finch non avrebbe risalito l’Alabama con la sua piroga, e dove saremmo noi, a quest’ora?». Una chiave di accesso alla sua opera che sembra dirci molto.

Proprio così, Tagore è stato uno dei poeti della mia adolescenza, «Il buio oltra la siepe» di Nelle Harper Lee, uno dei libri che ho amato e riletto più e più volte durante le vacanze estive dopo gli esami di licenza media, o poco prima. A monte di queste scelte, l’altro impulso impellente è stato quello di scrivere per tutte e tutti, grandi e piccoli, quindi le due citazioni assolvono al ruolo di bussola per orientarsi nel vasto mondo descritto e negli approdi prefissati. La fantasia è una risorsa straordinaria per affrontare battaglie, ardimenti e difficoltà quotidiane.
Nel cuore indomito della piccola Elsa, che è una cucciola di macaco tenerissima e coraggiosa, prevale il desiderio di sorellanza e la solidarietà con le creature di un mondo magico e incontaminato, quello dove è nata, purtroppo messo a repentaglio dalla insaziabile sete di denaro degli umani. Elsa è curiosa, intraprendente e piena di fantasia, grazie a queste doti farà di tutto per salvare Thulas, riuscendoci con l’aiuto dei suoi simpatici amici, che sono sia le cucciole e i cuccioli della Grande Foresta che i due reporter spagnoli Isabel Gutierrez e Mino Gonzales.
Vi ringrazio per la splendida intervista che mi avete concesso e auguro a chi mi leggerà di lottare per la propria Thulas, grande o piccola che sia, perché il futuro del nostro pianeta dipende da ciascuno di noi.