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“The betrothed”: “I promessi sposi” sbarcano in America. Intervista a Michael Moore  

Interview in English

Esce oggi, per le edizioni Modern Library, la traduzione americana dei Promessi sposi ad opera di Michael Moore. Italianista di fama, già interprete presso l’ambasciata italiana ONU e presidente del PEN di New York, Moore ripropone ai lettori americani il capolavoro di Manzoni, ancora oggi alla base della nostra lingua nazionale. Frutto di un lavoro decennale, l’opera riscopre la versione americana dopo oltre mezzo secolo – l’ultima traduzione risale al 1951 – in prossimità della ricorrenza dei 150 anni dalla morte dell’autore (che cadranno nel maggio 2023). Ammirati e incuriositi dal fascino dell’impresa, abbiamo posto a Moore qualche domanda.

Entriamo immediatamente nel vivo della questione: che rapporto ha Michael Moore con l’autore dei Promessi sposi?

È curioso che tu lo abbia chiesto. Gli autori che traduco, spesso, mi appaiono come ospiti: passano per una visita e non vanno più via! Restano fino a tarda notte e sono ancora lì al mattino quando ti svegli. Non vogliono niente da mangiare o da bere, tutto ciò che vogliono è la tua totale attenzione.

Il Manzoni che immagino è diverso dalla figura severa che vediamo nei vari ritratti dell’epoca: è più uno zio perplesso, che racconta storie e appronta uno spettacolo di marionette per farti divertire; di quando in quando sale sul suo alto cavallo morale ma, dopo aver predicato per un po’, si rende conto di essere andato avanti troppo a lungo e si ferma a raccontare un aneddoto umoristico. Ha un fortissimo senso del bene e del male ed è indignato per le ingiustizie subite dalla gente comune, ama la musica e le possibilità liriche della lingua italiana. Ama, più di tutto, il rigoglioso paesaggio lombardo, in particolare la zona del Lago di Como e si ferma sempre a contemplarlo con un certo stupore, come Renzo che assiste al sorgere del sole dopo la sua fuga da Milano.

Nel corso della sua brillante carriera lei ha tradotto Genovesi, Moravia, Levi, perché questa volta ha scelto proprio Manzoni? Qual è stata la difficoltà maggiore che ha riscontrato nel tradurre un testo decisamente più datato – e linguisticamente più complesso – rispetto ai precedenti?

C’è una sfida psicologica e una pratica. In primo luogo, è sempre scoraggiante approcciarsi a un testo canonico, specialmente uno così venerato come I promessi sposi. Tutti, in Italia, hanno già un’opinione al riguardo e sai che la tua traduzione verrà scandagliata in ogni scelta che potresti aver fatto non conforme al loro gusto. Sul versante pratico, la difficoltà più grande, per me, ha riguardato il modo in cui Manzoni varia costantemente il proprio stile di scrittura: solo nelle prime pagine si passa dal pastiche dell’italiano del Seicento nell’introduzione, all’apertura lirica del primo capitolo, (Per quel ramo del lago di Como …), al tragicomico incontro di don Abbondio con i bravi. Per non parlare dei momenti in cui interviene la voce dell’autore. Il romanzo è davvero un’enciclopedia di stile, che ricorda quello che Gianfranco Contini definì il “polilinguismo” di Dante.

Nel recente articolo di Riotta per Repubblica, lei afferma che i nomi dei personaggi le hanno creato diversi problemi di traduzione. Al di là dell’onomastica, che ci rinvia curiosamente a bravi chiamati Scarface e Straight Shooter, in che misura ha ritenuto necessario distaccarsi dal testo originale? 

Ho dovuto ragionare a lungo in merito ai soprannomi, sono comici e ti danno informazioni specifiche sul personaggio; se li traduci, però, possono apparire fuori luogo, come se non fossero italiani. Ho dovuto giocare molto con la sintassi e le struttura delle frasi. Volevo mantenere l’ampio respiro delle frasi di Manzoni, ma alcune frasi dovevano essere abbreviate, altrimenti in inglese se ne sarebbe persa totalmente la traccia e, a volte, ho sostituito il punto e virgola con il punto. Ho anche diviso i paragrafi di Manzoni in segmenti più brevi ogni volta che mi si presentava un cambio di argomento o l’introduzione del discorso diretto, che in inglese richiede un nuovo paragrafo.

Rispetto ad autori come Dante o Boccaccio, che negli Stati Uniti godono finanche di specifiche associazioni accademiche dedicate, quanto è conosciuto e apprezzato Manzoni nel panorama americano?

I promessi sposi compaiono spesso negli elenchi dei “Grandi libri”, opere canoniche raccomandate da bibliotecari e insegnanti. La verità è che le persone potrebbero riconoscerne il titolo, ma pochissimi lo hanno letto o hanno sentito parlare di Manzoni. Di solito dico alla gente che è il dedicatario del Requiem di Verdi, dettaglio che potrebbero conoscere gli appassionati di musica classica, ma sto ancora cercando un modo breve e “immediato” di presentare alla gente l’uomo e il suo lavoro. C’è così tanto che potrei dire!

In chiusura, per soddisfare l’avida curiosità di chi scrive (e quella di chi ci leggerà), nell’attesa di poter apprezzare il volume nella sua interezza, ci riporterebbe qualche riga del suo brano preferito in lingua originale e in traduzione?

Vi lascio un pezzettino dall’introduzione e dal primo capitolo; il resto, lo demando alla lettura del romanzo!

  • Questo è il primo momento in cui Manzoni entra nel testo e parla con la sua voce. Ho voltuto catturare il suo senso di esaperazione:

“Ma, quando io avrò durata l’eroica fatica di trascriver questa storia da questo dilavato e graffiato autografo, e l’avrò data, come si suol dire, alla luce, si troverà poi chi duri la fatica di leggerla?”
“By the time I have endured the heroic effort of transcribing this story from the manuscript’s faded chicken scratch and, as the saying goes, brought it to light, who will endure the effort of reading it?”

 

  • Qui, invece, è quando Manzoni decide di non buttare via il manoscritto e di trascrivere la storia. Lo vediamo non solo cambiare idea, ma anche umore:

“Nell’atto però di chiudere lo scartafaccio, per riporlo, mi sapeva male che una storia così bella dovesse rimanersi tuttavia sconosciuta; perché, in quanto storia, può essere che al lettore ne paia altrimenti, ma a me era parsa bella, come dico; molto bella.”
“As I was closing the messy compilation to set it back on the shelf, however, it felt wrong for such a beautiful story to remain unknown. Because it was as a story, although the reader might disagree, that I found it beautiful, I repeat, quite beautiful.”

  • Alcuni critici lamentano il fatto che Manzoni facesse parlare anche i contadini in fiorentino Borghese. Non sono d’accordo: si sentono quegli accenti lombardi, soprattutto nei bravi, che mi hanno dato la gradita opportunità di utilizzare alcuni colloquialismi americani:

“- Or bene, – gli disse il bravo, all’orecchio, ma in tono solenne di comando, – questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai.
“Well, then,” the bravo said in his ear, but in the solemn tone of a command, “this marriage ain’t gonna happen. Not tomorrow, not never.”

  • Tutti amano la descrizione di don Abbondio. Manzoni è un grande ritrattista, che ha creato un preciso personaggio con poche, mirate, parole:

“Il nostro Abbondio non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s’era dunque accorto, prima quasi di toccargli anni della discrezione, d’essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Aveva quindi, assai di buon grado, ubbidito ai parenti, che lo vollero prete.”
“Our Don Abbondio was neither noble, nor rich, nor especially courageous. He realized, even before reaching the age of discretion, that in such a society he was like a clay pot forced to travel in the company of many an iron kettle. So he readily obeyed his parents’ wish for him to become a priest.”

teresa.agovino@unimercatorum.it

 

 

 

 

 

 

 

L'autore

Teresa Agovino
Teresa Agovino (1987) ha conseguito il dottorato di ricerca nel 2016 presso l'Università 'Orientale' di Napoli con una tesi incentrata sulle riprese manzoniane nel romanzo storico del Novecento. Insegna Letteratura italiana presso l'Università Mercatorum (Roma) e Metodologie di scritture digitali presso l’Università Europea di Roma. Si occupa di ricerca su Alessandro Manzoni, Primo Levi, Giancarlo De Cataldo, Andrea Camilleri, autori sui quali ha pubblicato numerosi articoli in rivista e atti di convegno. Ha pubblicato i volumi: Dopo Manzoni. Testo e paratesto nel romanzo storico del Novecento e Elementi di linguistica italiana (Sinestesie, Avellino 2017 e 2020); I conti col Manzoni e «Sotto gli occhi benevoli dello Stato». La banda della Magliana da Romanzo criminale a Suburra (La scuola di Pitagora, Napoli, 2019 e 2024);“Non basta essere bravi. Bisogna essere don Rodrigo”: Social, blog, testate online, Manzoni e il grande pubblico del web (Armando editore, 2023). Ha vinto il premio 2023 dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti, Classe di Lettere, con il saggio Da Manfredi all’innominato. Suggestioni dantesche in Manzoni.

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