Gianluca Valenti è ricercatore di Linguistica italiana presso l’Università Pegaso di Napoli; di sé stesso scrive: «Tre cose notevoli che ho fatto nella mia vita: ho vissuto sei mesi in una favela brasiliana, ho fatto appassionare i miei figli al Mahabharata e un po’ di tempo fa ho pubblicato uno strepitoso poema in endecasillabi che ha venduto meno copie di quante sillabe ci sono in un endecasillabo. Sono un lettore esigente: Tolstoj mi annoia, l’Ulisse di Joyce carino, ma niente a che vedere con Horcynus Orca; Virgilio era un pedante (lunga vita a Ovidio), e chissà perché nessuno, ma proprio nessuno, conosce quel gioiello medievale che è Flamenca. Nell’intercapedine tra il lavoro e la vita scrivo romanzi, poesie e libri per bambini. Tra i miei tanti scheletri nell’armadio, quello di cui più mi vergogno: una volta ho assaggiato una pizza con quattro formaggi e ananas, e l’ho trovata buona». Valenti ha scritto anche un romanzo, pubblicato con Bookabook e intitolato Il cannibale. Il cannibale potrebbe apparire un romanzo giudiziario come tanti, incentrato su un caso apparentemente poco complesso, eppure ci invita a riflettere sul peso della pressione mediatica e su come questa ci orienti, volenti o nolenti, nelle aprioristiche (e, spesso, sbagliate) decisioni di innocenza o colpevolezza sugli imputati alla sbarra, prima ancora che questi siano stati messi in condizione di difendersi e fornire la loro versione dei fatti. Lo abbiamo intervistato in merito.
Caro Gianluca, partiamo dalla classica domanda, ormai consueta in casi come questi: perché un ricercatore, un critico, un accademico, insomma, a un certo punto della propria vita avverte l’esigenza di scrivere un romanzo?
Per me, il cammino è stato più o meno inverso: fare ricerca in accademia è un lavoro magnifico che porto avanti ogni giorno con passione, ma non è lo scopo della mia vita: il mio unico, vero obiettivo è, da sempre, riuscire a esprimermi attraverso la scrittura narrativa. Oggi, finalmente, dopo quarant’anni di tentativi sono riuscito a pubblicare un libro, ma in realtà ho già pronti altri due romanzi, una raccolta di poesie, un racconto per bambini e un poema: questo per dire che mi sento pienamente uno scrittore da molti anni prima di diventare ricercatore!
Qual è il percorso che conduce uno scrittore dall’idea del romanzo all’oggetto-libro?
è un percorso travagliato, poco ma sicuro! Soprattutto se – com’è il caso di moltissime persone che pubblicano un libro – il romanziere non è il mestiere che ti dà da mangiare, e devi riuscire a portare avanti la scrittura in parallelo con il tuo lavoro. Ti dico solo che, l’idea di questa storia, l’ho avuta circa dieci anni fa, quando ho iniziato a scrivere la seconda parte; poi la carriera universitaria ha assorbito le mie energie, e ho lasciato il libro a metà per molto tempo, fino a quando ho deciso di mettere il lavoro in stand-by per qualche mese e terminare il romanzo. A quel punto è iniziato un tormento fatto di rifiuti, agenti letterari in malafede e revisioni che è andato avanti per altri tre anni.
Puoi dirmi qualcosa in più sull’iter di pubblicazione? è stato davvero così complesso?
No, è stato molto peggio! Una volta terminato il libro, ho provato a inviarlo a case editrici grandi, medie e piccole. Non conosco nessuno nel mondo dell’editoria, e in questi casi – è brutto dirlo, ma è un dato di fatto – è già difficile riuscire a farsi leggere le prime pagine, figuriamoci un libro intero. Raramente ho ottenuto risposte, tranne qualche sporadica proposta di pubblicazione da case editrici a pagamento. Ho provato allora a contattare vari agenti letterari, alcuni mi hanno risposto favorevolmente e ho scelto, tra loro, quello che mi è sembrato il migliore; la mia esperienza con questo agente – di cui non voglio fare il nome – è stata pessima: mi ha tenuto appeso per un anno senza fare praticamente nulla, tranne mentirmi in modo spudorato. Quando il contratto con lui è terminato ho ripreso a scrivere agli editori, fino a che non ho ottenuto la risposta positiva di Bookabook.
Senza cedere allo spoiler, di che parla Il cannibale?
Ti dirò la verità, a me gli spoiler piacciono moltissimo, perché permettono di godersi appieno la lettura senza l’ansia di voler sapere come va a finire un libro. Anche nei miei romanzi faccio sempre molti spoiler, per esempio ne Il cannibale, il nocciolo della storia – Fausto ed Eleonora fanno sesso e lei lo accusa di stupro – viene raccontato fin dalle prime righe, così il lettore può concentrarsi sugli stati d’animo dei personaggi e sulle loro reazioni emotive, piuttosto che sugli eventi (ps. vuoi un altro spoiler? Posso dire se Fausto sarà condannato? Sì e no, è la risposta).
Il processo mediatico, così come la freddezza e l’assoluta mancanza di empatia dell’aula di tribunale, rivestono un ruolo fondamentale nella prima parte del romanzo…
Esatto, la prima parte si svolge quasi tutta nell’aula di tribunale, che viene presentata come un luogo asettico, freddo, impersonale. Il lato positivo di questa freddezza dovrebbe essere, almeno nella teoria, una certa garanzia di oggettività nel giudizio, mentre ciò che ho provato a mostrare è che l’oggettività del giudizio, per sua stessa natura, non esiste. E che, anche nella più assoluta buonafede dei magistrati, la zona grigia tra ciò che realmente accade in una determinata circostanza e la nostra interpretazione dei fatti è spaventosamente grande.
Ne Il cannibale accade che ogni qualvolta un personaggio cerchi di portare avanti un ragionamento sensato, logico e appena appena più complesso della sterile dicotomia buono/cattivo, colpevole/innocente, questo non venga compreso, e le sue posizioni vengano estremizzate in un pensiero ben distante dall’originale. Un dato molto attuale e, purtroppo, frequente, mi sembra …
Mi piace questa domanda, perché coglie benissimo ciò che volevo dire. Tra i personaggi del libro ve ne sono alcuni che, in modi diversi, provano a portare avanti una riflessione articolata sulla vicenda di Fausto ed Eleonora, ma vengono tutti annientati dal frastuono della massa che impone un parere drastico: o sei per l’uno o sei per l’altra, o vedi in Fausto un cannibale oppure sei compiacente perché, in fondo, sei un cannibale pure tu. A margine (questo sì è un vero spoiler), l’unico che non si lascia schiacciare da questa dinamica sociale è Marco, ma anche lui alla fine fallisce, pure se in un modo diverso dagli altri – e, a mio avviso, molto più dignitoso.
Vogliamo pubblicare un brevissimo estratto del libro?
Volentieri, scelgo un paragrafo che mi piace molto, un momento che potrei definire di “quiete prima della tempesta”.
«Lui le cinge il collo, lei lo guarda e sorride, danza, volteggia. Anche lui comincia a ballare, ebbro, incredulo, incredulo e appagato: le ansie scivolano via, i demoni scompaiono (ma ritorneranno), le anime si intrecciano, lei gli dà le spalle e lui le sfiora i capelli, i capelli di Eleonora, senza smettere di danzare nel punto di non ritorno di una notte non ancora deturpata. La gente attorno a loro è ormai sparita, restano soli, illuminati da un’aura divina che li solleva al centro della pista, Eleonora e Fausto, Fausto-Eleonora, Fausteleonora. Uniti da un vincolo immateriale che si consolida al ritmo della musica: vicini, felici».
L’ultima, fatidica, domanda: perché, soprattutto oggi, tutti dovremmo leggere Il cannibale?
Dopo tutto ciò che ci siamo detti finora, forse ci si aspetterebbe che io risponda: “Per imparare a riflettere prima di giudicare”, oppure “Per allenare il nostro spirito critico” etc. Ma in realtà non penso che lo scopo della letteratura sia di insegnare alcunché, al contrario: quello al massimo è un (gradito) effetto collaterale; la letteratura serve, secondo me, a capire il mondo in modo dilettevole. L’unico motivo per cui consiglierei di leggere Il cannibale è per passare qualche ora in compagnia di Fausto, Lorenzo, Eleonora e gli altri; e imparare a conoscerli e ad amarli, con tutti i loro difetti.
teresa.agovino@unimercatorum.it
L'autore
- Teresa Agovino (1987) ha conseguito il dottorato di ricerca nel 2016 presso l'Università 'Orientale' di Napoli con una tesi incentrata sulle riprese manzoniane nel romanzo storico del Novecento. Insegna Letteratura italiana presso l'Università Mercatorum (Roma) e Metodologie di scritture digitali presso l’Università Europea di Roma. Si occupa di ricerca su Alessandro Manzoni, Primo Levi, Giancarlo De Cataldo, Andrea Camilleri, autori sui quali ha pubblicato numerosi articoli in rivista e atti di convegno. Ha pubblicato i volumi: Dopo Manzoni. Testo e paratesto nel romanzo storico del Novecento e Elementi di linguistica italiana (Sinestesie, Avellino 2017 e 2020); I conti col Manzoni e «Sotto gli occhi benevoli dello Stato». La banda della Magliana da Romanzo criminale a Suburra (La scuola di Pitagora, Napoli, 2019 e 2024);“Non basta essere bravi. Bisogna essere don Rodrigo”: Social, blog, testate online, Manzoni e il grande pubblico del web (Armando editore, 2023). Ha vinto il premio 2023 dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti, Classe di Lettere, con il saggio Da Manfredi all’innominato. Suggestioni dantesche in Manzoni.
Ultimi articoli
- avvenimenti23 Settembre 2024Giustizia (mediatica) e (in)certezza del diritto nel nuovo romanzo di Gianluca Valenti
- avvenimenti23 Agosto 2024Su Giacomo Casanova a Dux. Cinque domande a Elena Grazioli
- avvenimenti22 Giugno 2024«Chi vò fa paura, nun po avè paura»
- avvenimenti8 Maggio 2024Levi, Alvaro, Pasolini. Dialogo con Francesco Sielo